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di Stefano Cittadini, operatore sociale di K-Pax.

STORIE DI ORDINARIA DISCRIMINAZIONE
Oggi devo portare io le bambine all’asilo, e fin qui tutto bene. Mentre cerco di convincere mia figlia che per quanto la sua maglietta a maniche corta con le giraffe sia bellissima, forse è il caso di tenersi sopra qualcosa di più pesante, mi scappa l’occhio su una fila di armadietti in un angolo e quello che vedo è all’apparenza normalissimo: tre nomi e tre contrassegni. Il fatto che siano tre nomi stranieri, gli unici tre nomi evidentemente non italiani in tutta la sezione, ci mette più tempo a penetrare la mia attenzione. Non fraintendetemi, io non credo affatto a qualche perversa ed attiva volontà discriminatoria che ha fatto sì che gli unici tre bambini con nome straniero siano stati raggruppati insieme e messi in un angolo, credo che si tratti, più semplicemente, di una vile storia di ordinaria discriminazione.

Voglio ripeterlo, raggruppati insieme e messi in un angolo, a 4-5 anni, all’asilo.
Nello stesso asilo, lo scorso anno, ho sentito le maestre sbottare a mia figlia “non correre perché sei femmina”.
Ora, non correre nei corridoi dell’asilo va benissimo, ma davvero abbiamo bisogno di aggiungere quella seconda parte? Non si tratta, ancora una volta, di una (mal)educazione pervasiva alle differenze razziali e di genere? Di una cultura che punta, ancora una volta, a dividere?

Ho visto spesso citata una frase che dicono sia di Jung “finché non prenderai coscienza l’inconscio governerà la tua vita. E tu lo chiamerai destino”. Più divento padre, più mi sembra che le catene invisibili ed inconsce con le quali confiniamo i nostri figli siano pesanti come macigni ed il loro destino fosco. Per chi fosse interessato, alla fine mia figlia l’ha avuta vinta ed è entrata in classe con la maglietta a maniche corte all’esterno, ma sopra la felpa.
Che un compromesso sia ancora possibile?


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