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di Carola Rizzi, insegnante di italiano L2 e operatrice di K-Pax.

Questo scatto, prodotto artigianalmente nella luce crepuscolare del tardo pomeriggio, è per me una delle foto simboleggianti le convinzioni sottese al nostro lavoro e al nostro personale agire quotidiano.
I ragazzi immortalati sono, da sinistra: Youssoufe, Solo, Adama e Ladji.

Ep. 1 rubrica

Con loro, tra Ottobre e Dicembre 2019, abbiamo sperimentato una scuola pomeridiana sul “modello francese”: oltre alle ore di alfabetizzazione quotidiana in aula, abbiamo intrapreso un percorso di conoscenza pragmatica della lingua italiana negli ambiti d’uso quotidiani: il bar, il supermercato, la posta, oltre a una conoscenza del territorio in cui i ragazzi si trovano inseriti.

Molto spesso, infatti, nonostante i numerosi sforzi per favorire progetti virtuosi di volontariato, servizio civile, tirocinio formativo, volti al raggiungimento di competenze spendibili nel mondo del lavoro, ma anche al reale inserimento dei migranti nella vita collettiva e sociale dei nostri paesi,  molti di loro tendono a un’auto-ghettizzazione e a un auto-isolamento che li porta a rifugiarsi nei pochi luoghi sicuri all’interno dei quali sono certi di sapersi orientare. Finisce così che molto spesso, chi abita alla periferia del centro abitato conosca soltanto quella zona e non il centro storico del proprio paese, oppure che l’operazione del fare la spesa o del ricaricare il cellulare si esaurisca nella muta pratica di scegliere un prodotto e consegnarlo alla cassiera attraverso il rullo scorrevole del supermercato: si legge l’importo sul display, si paga e al massimo si saluta, riducendo tutta la propria interazione col mondo esterno a un “Buonasera. Grazie”.

Accompagnare i ragazzi a bere un caffè ogni pomeriggio e instaurare giorno dopo giorno una conversazione amichevole con la barista, sperimentare quale registro linguistico utilizzare con l’impiegata delle poste, percorrere i sentieri e le strade del paese alla scoperta di nuovi scorci e nuove passeggiate, significa aprire lo sguardo dei migranti in accoglienza a nuove potenzialità di svago, di vita e di ricerca lavoro.
Significa anche, per esempio, spiegare abitudini culturali del Paese ospitante, come il rituale di trovarsi a “bere un caffè”. Significa, infine, raccontare pezzi di territorio e pezzi di vita politica e comunitaria che hanno reso possibili anche le condizioni stesse dell’accoglienza, come nel caso della passeggiata immortalata in questo scatto.

Il ponte su cui sono stati fotografati i ragazzi è stato inaugurato lo scorso autunno per collegare l’abitato di Malegno al percorso ciclo-pedonale lungo il fiume Oglio: per i migranti, che si spostano con i mezzi pubblici o, in alternativa a piedi e in bicicletta, conoscere questa via significa scoprire un’alternativa alla strada provinciale trafficata dalle auto o, peggio, al percorso “veloce” lungo i binari della ferrovia. Questo ponte è stato dedicato, come si legge sfocatamente nel cartello a destra, alla memoria di Ales Domenighini, sindaco del Comune di Malegno prematuramente scomparso per colpa di una dannata malattia.

Ales ha avuto un ruolo importante nella collaborazione alla creazione di percorsi di accoglienza diffusa e integrata, nell’individuazione di attività e iniziative mirate all’accoglienza, all’apertura, alla conoscenza e all’inclusione sociale. Ales era, in poche parole, un costruttore di ponti.
Credo che immortalare quattro beneficiari richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale proprio sopra un ponte, che reca alle loro spalle il nome della persona con cui anche la nostra organizzazione ha intrecciato parte del suo costruttivo cammino, sia un’immagine densa ed evocativa oltre ogni didascalia.

In questa foto c’è quello che facciamo, quello che vorremmo, il grazie che riconosciamo a chi quotidianamente lavora o ha lavorato per rendere possibile un futuro di ponti e pluralità.

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